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Crescere

Uniti per ridere insieme

La quarta età

Racconto di Enzo Terreno

Prima parte

Si guardò allo specchio: l’aspetto non era molto rassicurante.

Gli occhi color pelle di foca islandese essicata erano piccoli e quasi totalmente nascosti da un paio di spesse lenti, inserite in una preziosa montatura, regalatagli dalla madre nel giorno del suo battesimo; i capelli rappresentavano ormai un lontano ricordo anche se ne conservava gelosamente un ciuffo, che portava regolarmente con sé quando faceva il bagno (aveva sempre odiato la forfora); la pelle era talmente dura e grinzosa che per lavarsela usava passare tra le rughe un cacciavite; il naso a melanzana e la bocca le cui labbra ormai non si distinguevano più dal resto della pelle completavano quel triste ritratto.

Dopotutto aveva novantanove anni.

"Una bella età" – pensò – "e li porto anche bene" – aggiunse.

Pochi giorni prima, infatti, una signora incontrata, o meglio scontrata, per la strada (nell’urto alla poverina cadde anche la parrucca), gli diede non più di novantott’anni, oltre che un terribile destro alla mascella che lo fece cadere tramortito. Lui, comunque, non perse la testa (anche se ci mancò poco, e, ripresosi, continuò a passeggiare nella nebbia finchè non incontrò un tombino lasciato sbadatamente aperto da un operaio della società elettrica: - spero che almeno mi sconterete la bolletta – ebbe ancora il tempo di urlare prima di terminare ingloriosamente il suo breve volo.

S., questo era il suo nome, non era mai stato molto fortunato durante la sua lunga vita, anche se lui non credeva al fato e pensava che la sfortuna fosse solo una giustificazione ultraterrena creata dall’uomo per mascherare i propri errori. Una volta mentre stava spiegando questo concetto al suo macellaio di fiducia venne colpito alla testa da un bisteccone di almeno un Kg. Sfuggito da mano al negoziante, - da domani diventerò vegetariano -, mugugnò, ma anche dopo questo incidente la sua visione razionale della vita non venne meno.

 

Seconda parte

Distolse lo sguardo dallo specchio e si sedette di fronte alla finestra come faceva regolarmente tutte le mattine.

Gli piaceva guardare il mondo dalla finestra anche se, normalmente, era abituato a fissare l’attenzione su di un particolare che gli facesse ricordare il passato. Del resto era più che comprensibile che un uomo della sua età vivesse di emozioni passate (oltre che di spaghetti di cui andava matto) anziché pensare al futuro che, purtroppo, non poteva più, secondo lui, riservargli molte sorprese.

A volte stava per ore ed ore a fissare quel particolare e ciò dipendeva da quanto indietro doveva andare nella sua memoria. – Ogni volta che mi tuffo nel passato devo uscire dall’acqua, asciugarmi e risalire la scaletta fini a ritornare al trampolino da cui mi sono buttato – spiegava a chi cercasse di capire quel suo comportamento, dimenticando di aggiungere che, spesso non riusciva neancge a cadere in acqua, finendo spiaccicato contro il bordo della piscina del passato.

Quel mattino il suo sguardo si arrestò su di una donna grassotella che, spingendo una carozzella, si sedette sulla panchina ch si trovava proprio davanti alla sua finestra. Quella carrozzella gli ricordò la sua infanzia; S. possedeva una grande memoria visiva e tutta la sua vita gli scorreva davanti come se si trattasse di un film.

Pensava al previlegio che avevano i bambini di oggi rispetto a quelli della sua generazione. I suoi genitori erano prive di fantasia, tant’è che che non trovarono di meglio che chiamarlo S.; questo fatto lo incuriosì per molto tempo e per l’esatezza fino a quando scoprì che suo padre si chiamava R. Da quel giorno fu molto fiero di lui e smise di pestargli i piedi come aveva fatto fino ad allora ed addirittura gli promise che se un giorno avesse avuto un figlio lo avrebbe chiamato T. ( se, invece, si fosse trattato di una bambina l’avrebbe chiamata Ta).

Aveva un bellissimo ricordo di sua madre, come tutti del resto; lei lo chiamava molto affettuosamente "Ssss" e non "Esse" come tutti gli altri e poi lo coccolava, non lo sgridava mai e capiva e risolveva sempre tutti i suoi problemi, tant’è che in matematica prendeva regolarmente dei bei voti. Ai suoi tempi i divertimenti erano molto semplici; si rammentò che amava follemente giocare con il suo maialino Bill…si inseguivano, lottavano nel fango, mangiavano insieme gli avanzi del pranzo, dormivano insieme, sembravano fratelli. Fu uno choc per lui quando, assaggiando il salame, si accorse che non era affatto buono, ma si accontentò, tenendo presente il fatto che in un primo momento suo padre, confondendolo con Bill, la botta in testa voleva darla a lui…

Perse i genitori molto presto. Si ricordava tutto di quel funesto giorno: era domenica e si svolgeva la festa del paese, la folla era imponente; le attrazioni erano numerose: il tacchino-cannone, l’uomo più debole del mondo (era talmente debole da non riuscire ad alzare nemmeno la propria voce), la gallina baffuta e tante altr tra cui l’immancabile mongolfiera posta proprio in mezzo alla piazza principale (ed anche unica) del paese. E fu proprio la mongolfiera che calamitò il maggior interesse tra la gente che era costituita da contadini i quali fin dalla nascita non avevavno visto altro che uomini ed animali (anche donne naturalmente). Era logico, quindi, vederli a bocca aperta ad osservare quel gigantesco pallone che copriva il sole quasi interamente. Alcuni di loro si inginocchiarono e si misero a pregare, altri ancora pensarono che si trattasse di un’entità extraterrestre, ma poi si ricredettero subito pensando che neanche l’essere più idiota della galassia avrebbe fatto milioni di anni luce per arrivare in quel povero paesino; i più, tra cui i suoi genitori, credettero che quella strana cosa fosse un animale che, certamente, sarebbe stato molto utile per trainare l’aratro. Così furono proprio loro, cercando di approfittare della situazione, tentarono di portarselo a casa; per far ciò, però, suo padre ebbe la brillante idea di slegare la fune che teneva "l’animale" bloccato a terra, divenendo così il secondo uomo a tentare la via del volo (ricordate Icaro ?), ma R. era molto generoso e decise di voler spartire questa immensa gloria con la moglie riuscendo a trascinarla per un braccio appena si sentì sollevato da terra.

Tutta la folla ammutolì e guardò verso l’alto il pallone che si stava allontanando sempre più con i suoi genitori appesi: lui alla fune e lei a lui. Sentì benissimo la madre urlargli – Ricordati di scaldare la cena ! – e furono queste le sue ultime parole. A terra, dopo il primo momento di smarrimento, si cercò di fare qualcosa per trarli in salvo; l’idea che parve sul momento la migliore fu quella di sparare il tacchino-cannone verso la mongolfiera con la speranza che potesse bucarla con il becco, ma ci fu un grande ritardo nell’eseguire l’operazione poiché il tacchini venne interamente imburrato per aumentare la velocità di uscita dal cannone ed altri minuti preziosi vennero persi per trovare la miccia che era stata intenzionalmente nascosta dalla gallina baffuta innamorata pazza del tacchino. Quando tutto fu pronto, la momgolfiera era ormai scomparsa all’orizzonte e quando dissero al tacchino che l’operazione era stata annullata egli venne colpito da un collasso cardiocircolatorio e la cittadinanza decise di regalarlo ad S. per solidarietà.

Da quel giorno non ebbe più notizie dei suoi genitori, se si eccettua una cartolina proveniente da Venere e ricevuta una trentina di anni dopo in cui sua madre gli chiedeva se la cena riscaldata fosse stata di suo gradimento.

E venne anche il tempo di andare a scuola, ma quello fu un periodo di cui S. non aveva (o non voleva avere) molti ricordi. Faticò non poco a comprendere le nozioni fondamentali di biofisica nucleare e non riusciva assolutamente a capire perché lui, italiano, dovesse imparare il birmano (- chissà…un domani…- soleva rispondergli il suo insegnante). A dir la verità neanche i compagni di scuola gli andavano molto a genio; era una classe mista, nel senso che vi erano iscritti bambini dai 5 ai 12 anni, ragazzi dai 13 ai 18, uomini dai 19 ai 50 ed anziani dai 51 in su. L’unico alunno con cui legò fu il suo compagno di sedia (gli iscriti erano in sovranumero). La prima volta che lo vide lo scambiò per un pollo, poi, però, dopo essersi stropicciato la pelle e pizzicato gli occhi (ehm…cioè…beh! Ci siamo capiti…no?) si accorse che in realtà si trattava veramente di un pollo che, per far colpo su di una pollastra straniera (proveniente da un altro cortile) aveva deciso di darsi un’aria da intellettuale e fu talmente tanta l’aria che si diede da prendersi una bella broncopollomonite!!. Il legame tra S. ed il pollo fu molto forte e ciò per merito del maestro che decise di mettere un guinzaglio al povero volatile legandolo alla cintura delle scarpe di S. Già, la cintura per le scarpe fu la sua prima invenzione, la prima di una lunghissima serie di idee talmente buone ed intelligenti che S. non riuscì mai a trovare un cane che investisse i propri soldi per commercializzarle. Ad essere sinceri un cane lo trovò; si trattava di un pastore tedesco emigrato da poco in Italia a cui piacque tantissimo la sua idea dell’osso di Pasqua. Si trattava di un osso di cioccolato nel cui interno si poneva una sorpresa che veniva scelta di volta in volta a seconda del tipo di cane che l’avrebbe utilizzata: ad esempio una tabella di segnali stradali per cani guida, un paio di manette per cani poliziotto, una telecamera a circuito chiuso per cani da guardia, trampoli per bassotti, un buono per un’operazione all’Istituto di chirurgia plastica di Zurigo per mastini, un buono omaggio dal parrucchiere per barboncini e così via…

 

Terza parte

S. non attraversò mai nella sua vita giovanile il famoso teriodo adolescenziale e ciò dipese soprattutto dalla perdita prematura dei suoi genitori, quando, però, si rese conto dell’importanza di tale periodo cercò di viverlo ugualmente anche se ormai aveva superato i sessant’anni (- Ognuno ha l’età che si sente – continuò a ripetere sino a quando non si ammalò di otite).

Il periodo post-scolastico fu per S. molto difficile; il problema principale era quello di sbarcare il lunario, riuscire a trovare un lavoro che lo soddisfacesse e al tempo stesso gli garantisse una vita senza particolari privazioni non era impresa da poco. Cercò allora di riflettere molto bene valutando tutte le varie possibilità.

Avrebbe potuto continuare il lavoro di suo padre, ma la terra non lo intereesava molto anche se si rendeva conto che era pur sempre il posto più sicuro dove poggiare i piedi. Si accorse che il contadino non faceva per lui quando, un mattino, ancora insonnolito entrò con il suo pigiama rosso porpora nel recinto del toro per portargli la colazione; quel mattino riuscì a battere in successione rapida i primati mondiali sui 100, 200, 400, 800, 1500, 5000 e 10000 metri, senza contare quelli del salto in alto ed in lungo; nella foga si aggiudicò anche la Targa Florio superando nel finale il grande Nuvolari su Alfa Romeo.

Sarebbe potuto diventare anche un celebre musicista, ma non riuscì a trovare nessuno strumento che potesse esprimere pienamente il suo talento, anche se dopo un suo concerto, un critico musicale lo definì "il virtuoso dei piatti" (opinione che però cambiò immediatamente dopo averne assaggiato uno).

Decise, allora, di darsi all’artigianato; iniziò col fare il fabbro, ma a forza di battere sull’incudine tutto il giorno verso sera iniziava a fallire alcune mazzate e sovente al mattino lo si vedeva intento ad imburrarsi la mano sinistra, data la sua stretta somiglianza che aveva con una fetta biscottata. Le cose andarono meglio con la falegnameria, almeno sino a quando non si addormentò con un sigaro in bocca. A dir la verità il suo grande desiderio sarebbe stato quello di diventare un astronauta; l’emozione di solcare lo spazio, di scoprire nuovi pianeti, incontrare altre civiltà, altre forme di vita, magari un altro universo, gli attanagliava il cuore ogni volta che ci pensava.

S. era un ottimo cuoco ed amava cucinare, le sue specialità erano le frittate; ne sapeva cucinare un centinaio, tutte diverse tra di loro, tra cui spiccava, soprattutto, quella di scorfano, che era la sua preferita. Anche in cucina, comunque, il suo estro non faticava ad emergere; S. non poteva fare a meno di usare il suo ingegno e così inventò anche qualche ricetta come gli "spaghetti al sugo di maccheroni" oppure le "banane alla parmigiana".

Una sola cosa il suo gusto non riuscì mai a sopportare: il riso, il solo pensarcigli faceva venire il voltastomaco e, forse, fu per questa ragione che rifiutò di sposarsi.

S. si rendeva conto che l’amore era l’unico sentimento che permettesse, allo stesso tempo, di essere e di rendere felici, ma non riuscì mai a riversarlo su di una donna. Durante la sua vita ne incontrò parecchie e molte di esse si innamorarono di lui, soprattutto per i lobi delle sue orecchie che, a detta di molti , erano stupendi. Lui, però, era molto esigente ed amante dei particolari, cosicchè rifiutò sempre le varie proposte fattegli, adducendo le più disparate scuse (dita troppo lunghe, piedi troppo larghi, denti del giudizio lievemente storti e via scorrendo). Certamente quando un uomo arriva ad una certa età e si trova senza una moglie e dei figli, la solitudine si fa sentire ed S. si rendeva conto che un giorno, forse, si sarebbe trovato vecchi e solo, ma del resto non se la sentiva proprio di sposarsi con una donna che aveva l’unghia del dito mignolo del piede destro leggermente incisa.

 

 

Quarta parte

Nel 26 aprile del 1915 con il patto di Londra, l’Italia si impegnò ad entrare in guerra e pochi mesi dopo arrivò ad S. l’ordine di presentarsi in caserma.

Da lì a pochi giorni si ritrovò a combattere in Trentino contro gli Austriaci. Visto il suo eroismo ed il suo inesauribile coraggio gli venne affidato uno dei compiti più duri e pericolosi; ogni sera doveva lavare e lucidare tutti i mezzi mobili della sua compagnia, cosicchè il giono dopo i caccia italiani, riconoscendoli non li avrebbero più bombardati come purtroppo era successo più di una volta, tant’è che che ad un certo punto i soldati nemici anziché sparare pallottole si misero a tirare palle di fango. Anche sotto le armi ed in periodo tanto drammatico S. trovò il tempo per una delle sue geniali idee: la fiomba.

La fiomba era costituita da un telaio di metallo forgiato a forma di Y che portava alle due estremità superiori un elastico; bastava porre entro l’elastico una bomba, allontanarla dal telaio metallico, lasciarla di scatto e si otteneva l’effetto desiderato. Il suo generale di campo quando la vide ne rimase entusiasta, ma l’entusiasmo si esaurì quando nel provarla ruppe l’elastico.

In ogni caso quest’idea valse ad S. la promozione ad asciugamezzi. Verso la fine del conflitto mondiale venne trasferito nei servizi segreti con l’incarico di assassinare l’Imperatore tedesco Guglielmo II ed S. dimostrò di meritare la fiducia riposta in lui dai suoi superiori anche se non riuscì a completare l’impresa; egli infatti cercò astutamente di uccidere l’Imperatore scambiando le sue scarpe n° 45 con un paio di 35, ma proprio nel momento in cui il sovrano era sul punto di soffocare, entrò un suo servitore che riuscì in extremis a salvarlo. S. fu costretto, quindi, a fuggire in Italia e lo fece travestendosi da cartolina; purtroppo nella fretta si dimenticò di affrancarsi e venne perciò rispedito in Germania dove venne lasciato per un’intera settimana in un vagone postale prima di essere timbrato e rimandato in Italia.

L’esperienza della guerra si rivelò molto utile e se non l’avesse posseduta probabilmente non avrebbe avuto la meglio alcuni anni dopo nella battaglia contro l’inquilino del piano di sopra, vinta grazie ad una carica di dinamite inserita nel suo tostapane. Lo scoppio non solo fece vibrare tutti i denti del vicino come se fosse uno xilofono per i due anni seguenti, ma carbonizzò anche tutti i toasts.

Quello fu uno dei suoi ultimi ricordi di vita vissuta; da quel periodo infatti S. diventò via via sempre più sedentario; del resto iniziava ad avere un’età ragguardevole, che sommata ad un’esistenza sino ad allora molto attiva e ricca di emozioni, aveva fatto sì che a 50 anni S. si sentisse già vecchio e stanco. Anche la sua mente sfruttata sempre al limite iniziava ad avere delle difficoltà a mettersi in moto, anche se una volta avviata era ancora in grado di sfornare delle idee brillanti, come quella dell’Atallemram che come dice il nome stesso, non era altro che una macchina in grado di trasformare la marmellata in frutta fresca. Anche in questo caso, però, le cose non andarono per il meglio: - … il difficile è far stare attaccata la buccia - si giustificò dopo il fallimento. Quello fu l’ultimo frutto della sua genialità incompresa e da quel giorno S. si chiuse ancor più in sé stesso, osservando il mondo ed i suoi progressi come se non ne facesse più parte. Neanche la conquista della luna, avvenimento che negli anni passati lo avrebbe sconvolto dall’entusiasmo, servì a smuoverlo dalla sua apatia ed anche il fatto di non avere nessuna persona che si curasse di lui, non poteva che peggiorare la situazione.

 

Quinta parte

S. scrollò la testa di scatto, come se fosse stato svegliato bruscamente; ormai la signora grassottella se n’era andata da un pezzo lasciandolo a lottare per l’ennesima volta con il presente.

Si alzò, ando nuovamente verso lo specchio e lo guardò, con la speranza di notare qualcosa di diverso, ormai non ne poteva più di continuare a vivere nel passato, ma nello stesso tempo non trovava nesun motivo per essere ancora felice di vivere. Per un momento, per la prima volta nella sua vita, avrebbe voluto che la sua ora arrivasse quella stessa notte; si risedette sulla sedia di fronte alla finestra, cercando di pensare al futuro, a quello che lo avrebbe aspettato dopo la morte. S. aveva sempre pensato alla terra come ad un immenso banco di prova per gli uomini che dovevano cercare di meritarsi con il loro comportamento un’altra vita, quella vera: eterna e piena di felicità. Ed era sicuramente la paura di non aver mai amato, di non aver mai fatto nulla di significativo per meritarsela, che ossessionava S. facendolo continuamente vivere nel passato.

Ad un tratto, guardando il marciapiede, vide un paio di scarpe da donna; in un primo momento le seguì con lo sguardo mentre si muovevano e poi alzò piano piano gli occhi per osservare il resto.

La scrutò molto attentamente; non riusciva a trovarle un solo difetto, dopo 99 anni, per la prima volta sentì qualcosa di meraviglioso accadergli nel cuore, tanto meraviglioso da fargli dimenticare completamente ciò che aveva pensato pochi attimi prima.

In un baleno e quasi senza rendersene conto si trovava a camminare sul marciapiede dietro di lei; da vicino gli smbrava ancora più bella, sentiva il cuore pulsare sempre di più, di più, di più, di più… di più… di più…- Scusi, posso aiutarla a portare la borsa ? -.

 

 

 

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